Casse di espansione sul Piave, il vicesindaco di Vidor contrario: “L’opera porterebbe conseguenze ambientali imprevedibili nel territorio”

Già da tempo un grande cartello contro le casse di espansione sul Piave campeggia davanti al municipio di Vidor, altri invece sono collocati nelle frazioni: il messaggio è chiaro e netto, facendo già comprendere che si tratta di un problema di grande importanza per il territorio.

Quali sono gli ultimi sviluppi di un progetto di cui si è parlato anche l’estate scorsa proprio davanti al Comune di Vidor (qui l’articolo) e che vedrebbe direttamente coinvolta una parte del territorio dell’Alta Marca trevigiana?

Il vicesindaco di Vidor Albino Cordiali, che sta seguendo l’evolversi della situazione fin dal suo inizio, ha voluto fare il punto della situazione.

Stiamo aspettando l’esito della sentenza del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche che ha rinviato all’8 giugno prossimo l’udienza sul ricorso presentato dal Comune di Crocetta del Montello al quale si sono aggiunti successivamente i Comuni di Vidor, Moriago della Battaglia, Pederobba, Montebelluna, Volpago del Montello, Giavera del Montello e Nervesa della Battaglia contro la Regione Veneto, il Ministero della Transizione Ecologica e la presidenza del Consiglio dei Ministri per l’annullamento della delibera della Giunta Regionale del Veneto del 16 marzo 2021 avente oggetto la “Messa in sicurezza idraulica del medio e basso corso del Piave”.

Il problema c’è, ma la buona notizia è che un gruppo consistente dei nostri paesi si sono uniti per contrastare un progetto che è una minaccia vera e propria per i Comuni del Quartier del Piave. Ricordo che il progetto prevede la costruzione di un’enorme cassa suddivisa in quattro parti che dovrebbe contenere, in caso di alluvione, dai 35 ai 40 milioni di metri cubi d’acqua. – dichiara Cordiali – Per la sua costruzione, oltre alla spesa di 150 milioni di euro, sarebbe utilizzata una superficie di 550 ettari di terreno corrispondente a 1100 campi di terra, ovvero quasi il 40% della grandezza dell’intero Comune di Vidor. Inoltre verrà costruita una barriera a poche centinaia di metri a sud dell’Abbazia per convogliare l’acqua verso la prima cassa che si trova sempre nel Comune di Vidor verso la sponda di Covolo. Questa barriera è una diga a tutti gli effetti che parte dalla sponda sinistra del Piave, poco a sud dello Sghirlo, e attraversa tutto il letto del fiume per una lunghezza di oltre 800 metri, alta dai 2,5 metri ai 5/6 metri. Parliamo di cifre astronomiche”.

Abbiamo ribadito più volte che, una volta realizzate, le casse non sarebbero sufficienti per contenere una quantità di acqua, come quella dell’alluvione del 1966, la più temuta, che sarebbe di 150/250 milioni di metri cubi d’acqua. – precisa – L’opera, seppur gigantesca, non avrebbe dunque l’efficacia prevista per proteggere i paesi della bassa pianura e dovrebbe essere seguita dalla costruzione di altre casse simili. E’ da tener presente che questa cassa di espansione, in caso di un’alluvione come quella di 56 anni fa, si riempirebbe nel giro di sole tre/quattro ore, dopo di che avrebbe già finito la sua efficacia”.

“Consideriamo poi che queste casse occuperebbero in larghezza i due terzi del letto del Piave e quindi questo letto sarebbe per sempre ridotto a un terzo e “canalizzato” per tutta l’acqua che arriva da nord sia in condizioni normali che durante la piena. – continua Cordiali – L’acqua si sposterebbe dunque sul lato sinistro del Piave invadendo, quando arrivano le grandi piene, tutto il territorio facendo sparire zone come le nostre Grave e anche l’Isola dei Morti di Moriago, nonché il territorio limitrofo al Piave di Sernaglia (come ad esempio le Fontane Bianche)“.

Negli anni in cui le piene non avvengono, le casse rimarrebbero vuote d’acqua ma piene di fango e di detriti portati dal Piave, che produrrebbero un vasto ambiente malsano situato vicino alle abitazioni – prosegue Cordiali – La costruzione delle casse potrebbe portare sconvolgimenti di carattere ambientale imprevedibili, distruggendo un ecosistema unico al mondo e da tutti apprezzato e un richiamo turistico situato accanto alle Colline Unesco”.

“Solo la barriera che le delimita, di 13 chilometri e mezzo di perimetro (più gli sbarramenti interni) profonda 4 metri sotto il Piave e alta dai 6 ai 10 metri sopra terra, più la barriera di cui abbiamo parlato prima dai 2 ai 5/6 metri poco sotto l’abbazia di Santa Bona, sarebbe un pugno nell’occhio che non potremmo mai più toglierci. Per eseguire questi lavori ci vorranno dai 15 ai 20 anni”.

“E tutto questo per mettere in sicurezza i Comuni verso la foce del Piave che, malgrado l’esperienza dell’alluvione del 1966, hanno continuato a canalizzare il Piave fino a restringerlo in un letto che va dai 125 ai 150 metri di larghezza, costruendo abitazioni e favorendo attività produttive fino ai margini degli argini, costruiti per guadagnare terra e prevenire l’esondazione ma non sufficienti per le grandi piene. – spiega – Per queste scelte sbagliate ora dovremmo pagare noi con un progetto che non ci trova assolutamente consenzienti”.

La sicurezza delle popolazioni nelle zone sud del Piave non va tutelata creando altri problemi in altre zone ma con interventi diversi, meno impattanti, come previsto da progetti indicati prioritariamente dal Piano Stralcio sulla Sicurezza Idraulica. Anche a livello europeo le nuove conoscenze sulla vita dei fiumi ci danno ragione nel rifiuto chiaro e netto di un progetto dalle dimensioni enormi, estremamente costoso, distruttivo in tutti i sensi e per niente risolutivo. Abbiamo bisogno invece con urgenza di un ponte nuovo, lo abbiamo chiesto in tanti modi e da molto tempo perché la situazione della viabilità, della sicurezza e della salute delle persone è un problema giornaliero, pesantissimo e sempre più insostenibile” conclude Cordiali.

(Foto e video: Qdpnews.it © riproduzione riservata).
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