A pochissima distanza dal confine friulano, a nord di Oderzo e Motta di Livenza incontriamo Mansué, comune di circa 5.000 abitanti dal nome decisamente rassicurante.
Il blasone civico, sul quale campeggia un “agnello pasquale” provvisto di stendardo crociato è un chiaro simbolo di candore, docilità e, non a caso, mansuetudine.
Sull’origine del toponimo Mansué e su quella di alcune sue frazioni aleggiano tuttavia diverse interpretazioni, oggetto di interessanti congetture da parte di studiosi fra i quali A. Fregonese, il cui volume dedicato alla comunità mansuetana è in parte consultabile sul sito del comune.
Una prima teoria associa il toponimo Mansué a San Mansueto, vescovo di Toul, noto per aver risuscitato un bimbo annegato e che da allora, insieme alla sua palla, è parte integrante dell’iconografia del santo. La parrocchia di Mansué sarebbe l’unica in Italia dedicata a un santo non molto popolare e venerato localmente in Belgio e in Francia.
Una seconda ipotesi, del tutto laica, rimanda il toponimo alla mansio, la stazione di posta d’età romana, deputata a ospitare funzionari pubblici in viaggio nelle province.
Molto suggestiva infine l’ipotesi che la mansio in questione fosse un luogo di sosta circondato da terreni agricoli gestiti dall’ordine dei Cavalieri Templari, nati per garantire la sicurezza dei pellegrini in Terrasanta e divenuti un’autentica potenza militare ed economica. Nel XIV secolo, col tramonto dell’epopea templare la mansio sarebbe passata sotto il controllo di un’altra istituzione cavalleresca, l’Ordine di Malta per poi trasformarsi in un centro abitato autonomo.
La scoperta del territorio di Mansué riserva numerose sorprese: antichi edifici di culto, eleganti ville venete, curiosità naturalistiche come il bosco planiziale, gli ambienti golenali dei Prà dei Gai e il Casteir, una sorta di collinetta sulla quale sorgevano, in epoca remota, casoni in legno e canne palustri abitati dalle tribù paleovenete.
Al termine di una esplorazione minuziosa, ma condotta con la pacatezza e la quiete che il toponimo ci ha trasmesso sin dal primo istante, ci congediamo con un calice di bianco proveniente da vigneti che affondano le loro radici in terreni a cavallo fra Veneto e Friuli. Brindiamo a Mansué, ai suoi abitanti e a un suo figlio illustre, Francesco dell’Ongaro (1808 – 1873): prete ribelle, mazziniano e intellettuale raffinato, soggiornò a Firenze ove accolse nel suo salotto letterati del calibro di Giovanni Verga, Luigi Capuana e Carlo Lorenzini (in arte Collodi), autore del celeberrimo “Pinocchio”.
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