I pesci d’acqua dolce nella tradizione della Marca trevigiana: il persico sole

Il persico sole
Il persico sole

Un bimbo annoiato lancia un sassolino nell’acqua immobile e trasparente del laghetto. Dalla vegetazione palustre spunta un pesce variopinto che, incuriosito, si avvicina prudentemente alla pietruzza caduta sul fondo. Deluso e forse un po’ irritato il pesciolino scompare quasi subito rifugiandosi fra le piante acquatiche che crescono rigogliose sulla sponda.

Il persico sole (Lepomis gibbosus) è una creatura giunta in Europa dal Nord America poco più di un secolo fa dove è conosciuta come Pumpkinseed Sunfish (pesce sole seme di zucca). La silhouette schiacciata, i colori sgargianti fra i quali spiccano il giallo, l’arancio, il verde smeraldo e l’azzurro lo fanno assomigliare un po’ al temibile pesce piranha, diffuso nelle acque sudamericane e circondato da una fama sinistra.

Molto meno temibile, nei nostri territori il persico sole raggiunge al massimo i quindici centimetri di lunghezza per centocinquanta grammi di peso. Il suo habitat preferito sono i corsi d’acqua con poca o nessuna corrente, fondo sabbioso o ghiaioso e abbondante flora sommersa.

Gregario nello stadio giovanile e più solitario in età adulta, il persico sole è onnivoro e si ciba tanto di frammenti vegetali quanto di vermi, crostacei e piccoli pesci. Sono noti episodi di caccia di gruppo nella quale i persici, guidati da un leader, attaccano la preda e le lacerano le pinne e la coda per impedirne la fuga. A sua volta il persico sole è vittima di infezioni ed è predato da uccelli acquatici, bisce, tartarughe e sanguisughe.

Conosciuto in Veneto come orologio, perseghéto o mirasole, nella Marca è talvolta chiamato gobbo, appellativo che può trarre in inganno poiché utilizzato anche per il persico reale, il gobione e la giovane carpa.

Il persico sole è la tipica preda del principiante in quanto abbocca praticamente a qualunque esca e non è affatto esigente in termini di qualità e sottigliezza della lenza. In passato i ragazzi lo catturavano pettinando il fondo di fossi e canali con un retino dentato detto restelòn nel quale, assieme ad altri pesciolini, restavano imprigionati gamberi e chiocciole. Nei laghi della Vallata, San Giorgio e Santa Maria, il persico sole era una delle prede ottenute calando in acqua, per diverse ore, un ammasso di ramaglie detto fassìn la cui funzione era quella ingannare i pesci che, ignari, vi cercavano rifugio.

Le carni del persico sole, pur apprezzabili, sono talmente ricche di spine da diminuire drasticamente il valore gastronomico di questo pesce d’acqua dolce. Un tempo il suo destino era quello di arricchire fritture senza pretese, note come pèsse pòpolo, gustose ma realizzate con specie ricche di lische e squame (pèsse de scàja). Un ulteriore stratagemma per nobilitare gli orologi era quello di sfilettare pazientemente gli esemplari di maggiori dimensioni, tritare le carni, amalgamarle con uova, limone ed erbe aromatiche: le frittelle, a forma di pesce e con tanto di grano di pepe al posto dell’occhio, appagavano i grandi e ingannavano i piccini in un’epoca nella quale i surgelati non esistevano e il pesce di mare era appannaggio di pochi privilegiati.

Specie invasiva e considerata nociva poiché in competizione con la fauna autoctona, il persico sole ha una propria ragion d’essere fra gli appassionati di acquariofilia. Piuttosto facili da allevare e poco esigenti dal punto di vista alimentare i perseghéti offrono agli appassionati l’opportunità di contemplare, a distanza ravvicinata, gli affascinanti rituali di corteggiamento di una specie dalla livrea talmente spettacolare da essere fra quelle prescelte per abbellire niente meno che gli stagni della reggia di Versailles.    

(Foto: Wikipedia).
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