Sono molte le cariche istituzionali che possono firmare ordinanze o esortare altre cariche (istituzionali o meno) per l’abbattimento di specie particolarmente protette (come il lupo e l’orso), di specie cacciabili in aree non soggette a prelievo venatorio (per esempio in aree a diverso regime di protezione come i parchi nazionali e regionali) di specie cacciabili al di fuori degli ordinari periodi venatori (deroghe per l’abbattimento di volpi, corvidi, ecc… le cosiddette specie opportuniste, o se volete, le “specie nocive”).
Tutto ciò non solo è legittimo, ma è previsto dalla legge, quindi è legale. Si può fare. Sono scelte politiche che, di solito, purtroppo rispondono a pressioni sociali del tutto indipendenti dalla realtà faunistica che ci appresta ad affrontare.
“L’abbattimento per la pace sociale” è sempre stato il motto di tale scelta. Ora però le spinte sociali hanno subito dei mutamenti, la “pace sociale” non esiste più.
Esiste “la pace di una parte della società”. È da un po’ di tempo che le diverse parti sociali trovano terreno di scontro faunistico nelle aule di giustizia. Insomma, lavoro per avvocati che, credo, ringraziano non poco i nostri tempi faunistici.
Ma di là da scelte politiche e dall’attività degli studi legali, che senso può avere, oggi, un’ordinanza che prevede l’abbattimento di un paio (o anche di un intero branco) di lupi?
La risposta, credo scontata, è dipende. Confrontare lo status del lupo italiano e il rapporto oggi esistente tra il lupo e la società italiana con quanto succede in altre aree europee o statunitensi è quantomeno ingenuo. Il nostro rapporto con la fauna selvatica è difficilmente paragonabile a quanto succede fuori dai confini nazionali quindi escluderei paragoni e accostamenti.
Credo invece che se i diversi fruitori (allevatori, ambientalisti, cacciatori ecc…) del lupo condividessero una minima conoscenza dei suoi parametri ecologici di base, potrebbero assieme verificare se, di là dalle verità amministrative, siano stati usati correttamente gli strumenti di prevenzione dagli attacchi del lupo e se e come la specie abbia imparato a non impattare sulle attività umane. Il lupo è una specie intelligente, se glielo insegniamo, lo impara. Escludendo le singole opinioni, un’analisi dei fatti e una condivisione dei risultati dovrebbe essere un pilastro unico per la gestione di una specie come il lupo.
Se invece i diversi fruitori verificassero che nonostante tutti i mezzi dissuasivi correttamente usati ci sono dei lupi che non ne vogliono sapere di togliersi dai piedi (può essere), allora non resterebbe che agire attraverso la rimozione di quei lupi, come dire, poco intelligenti. Come fare, dovrebbe essere un lavoro che, ancora una volta, tenga conto di tutte le diverse parti sociali.
Insomma, non c’è altra soluzione che creare assieme una cultura faunistica che preveda l’abbattimento come ultima soluzione, come rimedio estremo.
Quello che oggi risulta ormai socialmente inaccettabile, è non saper verificare l’uso dei sistemi di prevenzione degli impatti da lupo e procedere con l’abbattimento. In questo caso non ci sarebbe più “l’abbattimento per la pace sociale”, ma lavoro per le aule dei tribunali.
Speriamo poi sia anche conosciuta la legge biologica che prevede la sostituzione di un paio di lupi abbattuti con altri nel giro di qualche settimana o qualche mese.
Se, inoltre, insistiamo per avere un panorama europeo, esempi recenti francesi dimostrano la non chiara efficacia di abbattimenti di lupi che possono diventare, peraltro, controproducenti aumentando l’impatto delle predazioni sui domestici.
E allora che si fa?
(Foto: archivio Qdpnews.it).
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