Seydou, Guimba e gli altri: un’Odissea che non finisce a Lampedusa

Guimba Sissoko, Ibrahima Goumbale e l’avvocato Pavan

Le porte del cinema Cinergia di Conegliano fanno uno strappo alla regola e aprono alle 8.30 di un lunedì di fine febbraio per alcune classi del Liceo “Marconi” di Conegliano per una proiezione straordinaria del film “Io Capitano” di Matteo Garrone. L’iniziativa, organizzata da alcuni docenti della scuola, prevedeva un dibattito successivo alla visione del film a cui sarebbero intervenuti il direttore della cooperativa Nova Facility, Ibrahima Goumbale, che opera come mediatore culturale all’interno della caserma Serena di Treviso (il più grande hub per l’accoglienza dei migranti nel Veneto), l’avvocato Annachiara Pavan, che fa parte della direzione della società e gestione dei centri di accoglienza, e Guimba Sissoko, ex ospite della Caserma Serena, originario del Mali.

Il film racconta l’odissea dei giorni nostri: due ragazzi senegalesi, Seydou e Moussa, il sogno di fare musica in Europa, la speranza di arrivare in Italia. Un viaggio fatto di traversate nel deserto, detenzioni nelle prigioni libiche, e infine il mar Mediterraneo. Una forza incrollabile tenuta viva anche dalla fede nella religione.

Al termine della proiezione, in un silenzio commosso, si leva la voce di Ottavio Spiazzi, fino all’anno scorso docente di storia e filosofia al Liceo, oggi in pensione, che, sotto il coordinamento della professoressa Silvia Zumbino, ha fatto parte del team di docenti organizzatori dell’evento. Il professore sceglie di dedicare la giornata “ai cinque morti sul lavoro, di cui quattro erano immigrati assunti irregolarmente”, facendo riferimento al crollo in un cantiere del supermercato Esselunga a Firenze di venerdì 16 febbraio. Lo spunto per chiedersi: “Le normative in Italia creano degli emarginati che poi vengono sfruttati e assunti illegalmente?”. E ancora: “Non c’è un articolo 2 della nostra Costituzione che parla dell’uomo e non solo del cittadino italiano?”.

Con la voce rotta dall’emozione prende la parola Annachiara Pavan, la quale, rivolgendosi alla platea di studenti, ci tiene a ringraziare i professori, “illuminati ad averci invitati qui, perché permettono a voi ragazzi di conoscerci, ma soprattutto consentono a noi di creare un ponte con voi. Perché a Treviso ci sono ragazzi che hanno fatto questo viaggio e che non sono venuti a rubare il lavoro o a delinquere o a rovinare la vostra quotidianità: sono ragazzi che hanno dei sogni e delle speranze come tutti”. In piedi, di fianco a lei, Ibrahima e Guimba ne sono testimoni: seppur ciascuno con una storia diversa, entrambi hanno vissuto sulla propria pelle l’Africa, il viaggio e l’arrivo.

Ibrahima è in Italia da 25 anni, ora è direttore della Caserma Serena. All’interno della struttura (che prevedrebbe una capienza di 500 persone, ma i numeri degli ospiti son quasi sempre molto più alti) svolge il ruolo di mediatore culturale. “A Lampedusa è sufficiente mangiare, bere, dormire, vestirsi”, spiega l’avvocato, “Qui invece hanno bisogno di sentirsi ascoltati e capiti”. Goumbale, conoscendo la lingua, la cultura, il diverso modo di vivere è in grado di “arrivare al cuore delle persone”. Non soltanto restituisce dignità alle loro storie, ma in sinergia con gli altri operatori all’interno della residenza lavora per rendere meno estraneo quel Paese che molti di loro, prima di metterci piede, non avevano mai visto nemmeno su una carta geografica. L’Italia non è l’Africa, per molti aspetti “è un mondo opposto”, e persino le cose più semplici hanno bisogno di essere spiegate perché vengano capite: “In Senegal, per esempio, c’è la fermata dell’autobus, ma non c’è scritto l’orario in cui passa. Qui è diverso, c’è l’app della Mom che te lo dice e su cui puoi prendere i biglietti. In Paesi piccoli poi non esistono linee ferroviarie, quindi anche prendere un treno può essere una cosa nuova per loro. Persino il supermercato funziona in maniera diversa”.

Cita la zona periferica di Dakar, la capitale del Senegal da cui nel film sono partiti i due protagonisti. “Seydou viveva in una casa dove stava tutta la sua famiglia allargata perché nella società africana esiste la solidarietà tra famiglie per cui si condividono gli spazi, la vita quotidiana, il cibo eccetera”.

Nell’ex caserma viene svolto un lavoro di integrazione importante. Nonostante il Decreto Cutro non preveda né le figure di psicologo ed educatore né l’insegnamento della lingua italiana, “noi riusciamo ad insegnare l’italiano, li portiamo sul territorio perché si integrino e studino perché molti ragazzi non hanno neanche fatto la prima elementare. 51 ragazzi oggi frequentano le scuole di Treviso”, racconta Pavan, “Ma questo non è un percorso che possono fare da soli, perché se non c’è un tessuto sociale che li accoglie, che dà una possibilità e li valorizza per quello che sono e per quello che possono fare, non ci sarà mai integrazione. Parlare di accoglienza non significa dar loro un appartamento, se manca la formazione sono abbandonati a sé stessi. Devono sentire che c’è una comunità intorno che li accompagna”.

Dal 2015, anno della sua inaugurazione, la Serena “hub” ha ospitato oltre 9 mila persone. Soprattutto ragazzi giovani, anche minori, ma mai bambini. Pavan specifica: “Non è mai arrivato nemmeno un quarantenne, arrivano perlopiù ragazzi giovani e sani, quelli che possono sopravvivere a un viaggio del genere”. Ancora oggi una buona parte degli ex ospiti vive sul territorio trevigiano, ha un’occupazione e nei casi più fortunati è riuscito a trovare una casa. Anche se Goumbale nota come sia molto più facile trovare lavoro che non un’abitazione: “C’è un problema abitativo importante, ma per risolverlo bisogna ripensare gli spazi insieme alla città”.

Tra le storie di un’integrazione ben riuscita c’è quella di Guimba Sissoko, 30 anni, dal 2016 in Italia dopo un lungo viaggio che dal Mali lo ha portato in Italia. Oggi vive a Ponzano e ha un contratto di lavoro a tempo indeterminato: “Sono scappato per la guerra che dal 2012 ha reso molto pericoloso il mio Paese, specialmente a Nord, dove abitavo io”. Essendo il Mali un’ex colonia francese, era la Francia la sua originaria destinazione, non l’Italia, di cui anzi ignorava l’esistenza. Quando è arrivato in Italia gli è stata riconosciuta la protezione internazionale perché, sottolinea l’avvocato, “fa parte di quei migranti che non sono economici” alludendo a quanti sono perseguitati nel proprio Paese per ragioni di razza, religione, sesso, e che per questo non possono telefonare a casa e far sapere dove sono arrivati. La legge italiana prevede che ad ogni migrante che sbarca a Lampedusa venga data una scheda telefonica internazionale che gli permetta di avvisare la famiglia. Ed è in effetti la prima cosa che chiedono: “Poter chiamare a casa per loro è molto importante”. Ma soprattutto in Paesi dove c’è la guerra diventa difficile che questo collegamento riesca. Da quando è in Italia. Sissoko non è ancora riuscito a mettersi in contatto con la madre. Non sa dove si trova.

Il tema dell’immigrazione è sempre stato un argomento divisivo e cavalcato da qualsiasi schieramento politico. Anche nella loro esperienza non sono mancati i contrasti. Nel 2015 la Prefettura di Treviso aveva assegnato a un centinaio di richiedenti asilo alcuni appartamenti in una palazzina a Quinto di Treviso, quando ancora la Caserma Serena non era operativa. Pavan e Goumbale raccontano: “Ci sono state delle proteste da parte dei residenti dei dintorni, e una notte hanno dato fuoco alla palazzina”. Per questo si decise di spostare i profughi nella caserma dismessa. Nonostante questo inizio infelice, Goumbale tiene a sottolineare come “dal 2015 ad oggi ci sono stati cambiamenti importanti, passi in avanti che non si devono sottovalutare”, anche se continua a fare più notizia il “nero beccato a spacciare” e restano ignoti ai più i numeri dei migranti che stanno dando sostegno economico al nostro Paese perché, evidenzia Pavan, “fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce”.

Al termine della mattinata, Pavan e Goumbale rinnovano l’invito a venire a trovarli in caserma: “In questo modo voi vedreste come vivono questi ragazzi e loro potrebbero ospitarvi in quella che è diventata un po’ ‘casa’. Si emozionano tantissimo quando vedono che qualcuno da fuori si interessa a dove vivono, cosa fanno… sarebbe bellissimo”.

(Foto: per concessione di Silvia Zumbino).
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