La preoccupazione per l’andamento climatico e gli investimenti necessari a dettare un cambio di rotta su questo fronte sono spesso e volentieri al centro del dibattito mondiale.
Ma siamo proprio sicuri che tali investimenti siano necessari a risolvere il problema o, comunque, a segnare un cambiamento?
A fornire una risposta, negativa, al quesito è la ricerca condotta da Marcella Lucchetta, docente associato di Economia monetaria e della finanza all’Università Ca’ Foscari di Venezia, residente a Conegliano.
Nel suo curriculum la docente, autrice di opere in tema di politica economica, conta un periodo di ricerca all’Università di Oxford e cinque anni di lavoro al Fondo monetario internazionale a Washington.
Secondo il suo studio, infatti, ogni continente dovrebbe investire almeno il 2% in più pro capite all’anno in “Climate bonds”, per raggiungere gli obiettivi climatici essenziali al raggiungimento del “Net-Zero”. Quest’ultimo è da intendersi come il progetto voluto dalle Nazioni Unite, per ridurre l’emissione dei gas serra, a un livello possibilmente vicino allo zero, con il riassorbimento delle emissioni stesse rimanenti dall’atmosfera.
I “Climate bonds” sono invece degli strumenti finanziari impiegati per sovvenzionare progetti, con ricadute positive in fatto di clima e ambiente.
Per la ricerca in questione, la docente universitaria ha analizzato i dati mondiali compresi tra il 2014 e il 2022, divisi per aree geografiche, controllando il rispettivo reddito pro capite: è emerso che ogni continente dovrebbe investire almeno il 2% in più ogni anno in Climate bonds, che risulterebbero insufficienti in quei Paesi dove c’è un maggior utilizzo di combustibili fossili: lì sarà necessario, in futuro, un volume maggiore di risorse finanziarie, necessarie a una transizione verde accettabile.
Uno studio che, attualmente, sta facendo il giro della comunità scientifica e per il quale Lucchetta ha annunciato che ci sarà un prosieguo da parte sua: “L’idea è nata dal fatto che, quando vengono fatti i summit, non partecipano (o lo fanno in misura molto minore) i Paesi in via di sviluppo, dove c’è un volume di popolazione maggiore – è la premessa fatta dalla docente universitaria -. Mi sono chiesta: quali ripercussioni ha questo aspetto?”.
“La riduzione delle emissioni richiede degli investimenti strutturali e, di conseguenza, mi sono domandata come vengano investiti questi soldi” ha aggiunto.
“Dalla mia ricerca è emerso che siamo ben distanti dal raggiungimento di risultati positivi – ha spiegato Lucchetta -. Alcuni Paesi (ad esempio quelli del Nord Europa) investono molto in ‘green’, mentre altri (quelli emergenti) invece no, perché non hanno le possibilità finanziarie per farlo”.
“Siamo quindi sotto del 2% pro capite di investimenti a livello mondiale – ha proseguito – Per fare un esempio pratico, è come se io decidessi di smettere di fumare, ma le persone che mi circondano continuano a farlo: non si raggiunge l’obiettivo. Nel caso della ricerca, quindi, emerge quanto non stiamo raggiungendo quanto fissato dal Net-Zero, che consiste nel compensare le emissioni con energia pulita”.
“In sintesi, non stiamo utilizzando i soldi in maniera efficiente e, così facendo, non arriveremo ai risultati prefissati – ha continuato -. Sulla carta, quindi, sembra che tutto stia andando bene, ma sul piano pratico non è così”.
Una disomogeneità di investimenti in fatto di “green”, quindi, che sta mettendo a repentaglio l’obiettivo di riuscire a invertire la rotta in tema di clima e cambiamenti climatici. Disomogeneità da imputare a una disponibilità finanziaria non equa in tutti i Paesi ma, allo stesso tempo, anche a una scarsa sensibilità in fatto di ambiente in certe Nazioni, rispetto ad altre.
“Questo è un problema urgente, ma difficile da risolvere” segnala Lucchetta la quale, nel frattempo, è stata contattata per il suo studio dal Fondo monetario internazionale e dalla Commissione europea, solo per citare alcune delle organizzazioni che si sono fatte vive con lei, per saperne di più.
(Foto: Marcella Lucchetta).
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