“El muìn de na òlta”: al Molinetto della Croda una mostra per ripercorrere gli interni originali del passato

Esiste a Refrontolo un luogo dove le tradizioni e la storia dei tempi andati non passano mai di moda: è il Molinetto della Croda, meta di turisti e amanti della bellezza paesaggistica, che si fermano durante un giro tra le colline o una corsa in bicicletta, per assaporare questo scenario storico-naturalistico.

E proprio perché lì il passato non è mai fuori moda, l’associazione Molinetto della Croda ha allestito una mostra, che ripercorre gli usi e i costumi dei mugnai e residenti nell’edificio: “El muìn de na òlta” (“Il mulino di una volta”) è il titolo della mostra, che consiste in un allestimento degli interni, fedeli al tempo in cui il Molinetto era abitato.

La mostra rimarrà aperta fino al 19 novembre, il venerdì e il sabato (con orario 10.30-12 e 15-18), la domenica e i festivi (orario 10.30-18.30). Nel mese di agosto sono previste aperture infrasettimanali: per ogni informazione, è consigliato consultare il sito www.molinettodellacroda.it.

Il Molinetto della Croda rappresenta uno dei luoghi più suggestivi del nostro territorio, che fu in grado di dare ispirazione ad artisti e visitatori.

L’architettura rurale risale al XVII secolo, ma l’edificio subì delle trasformazioni a più riprese, mentre il mulino macinò l’ultima farina nel 1953. L’edificio subì un periodo di abbandono, per poi essere soggetto a una serie di interventi di restauro, fino all’acquisto da parte del Comune di Refrontolo nel 1991.

Il viaggio nel passato del Molinetto

Si inizia il percorso salendo una scaletta che conduce all’ingresso, dove si viene catapultati nella vecchia cucina di un tempo, imbandita in attesa di quanti all’epoca erano impegnati a lavorare nel mulino o nelle coltivazioni.

Mele, foglie di alloro, cipolle, fiori secchi sono sparsi tra il mobilio povero di un tempo, sulla tavola di legno con la tovaglia bianca e la stufa. Una cucina contadina che nasconde dietro di sè una storia preziosa: la stanza fu frutto di un ampliamento del Molinetto, avvenuto nel primo Ottocento, necessario a ricavare una stalla per gli animali.

La nuova costruzione godeva di una camera sovrastante, appoggiata alla struttura primitiva. Venne così ricavato uno spazio sufficiente a ospitare asini e muli, nel tempo spostati in una costruzione di fronte al mulino e sostituiti da pecore e conigli. Soltanto nel 1946 la stanza venne trasformata in una cucina per la famiglia abitante.

Proseguendo l’itinerario, si capita in una stanza più angusta e buia, adibita al lavoro della famiglia di mugnai, adiacente ai locali dove si trova il sistema di azionamento del molino: lì si trovano vecchi imbuti, ceste di vimini e tutti gli strumenti da lavoro e per riparare le botti.

Il piano terra venne ricavato da un ampliamento del Molinetto risalente al tardo Settecento: uno spazio adibito a cantina, chiamato anche “piano roccia”, perché solo per due terzi fu possibile costruire il pavimento “in piano”. La parte rimanente venne costituita dal gradone di roccia a nord, utile per collocarci le botti di vino.

Uno spazio buio e fresco, ottimo anche per appendere al soffitto i salami e vari prodotti.

Salendo le scale in legno, si giunge a un secondo spazio per la convivialità, stavolta ben più ampio e luminoso, con due tavolate di legno, preparate secondo le abitudini contadine e con il tradizionale “secèr”, ovvero la stanzetta adiacente, adibita al lavaggio dei piatti.

Trecce di aglio, nocciole conservate in vecchie calze, vasetti di marmellata con i copricoperchio in tessuto, vasetti di carrube, mantellette di lana per proteggersi dal freddo, alloro e rosmarino: tutto contribuisce a restituire quel sapore di passato che a tanti piace ancora ricordare.

Passato che riecheggia maggiormente nelle camere del Molinetto, a partire da quella principale, frutto dell’ampliamento settecentesco, con la struttura poggiata sulla roccia, fino alla cameretta attigua, che riceveva il calore prodotto dagli animali collocati nella stalletta al piano inferiore, il cui calore filtrava atraverso i buchi del pavimento in legno. Camere raggiungibili direttamente dallo spazio della cucina.

Spazi suggestivi, senz’altro, ma che in passato risentivano dell’umidità del luogo, con camere che ospitavano più parenti di quanti effettivamente fossero i posti letto disponibili.

Al piano superiore si trova un’altra camera ampia, a cui si accedeva tramite una scala a chiocciola in sostituzione a quella odierna, i cui gradini poggiavano sui supporti naturali costituiti dalla conformazione della roccia. La stanza gode di un’uscita a est, che consentiva l’accesso alla cima della cascata, per la regolazione dell’acqua e il ricorso alla latrina di frasche per i bisogni notturni.

Significative le suppellettili recuperate: il letto con scaldino, scarpette da bimbo e calzature da donna, rosari, libri di preghiera, retine per capelli, qualche valigia di diversa misura, sedie in legno, calze e calzini di lana, abiti appesi anche sulle finestre delle stanze.

All’ultimo piano era collocato il “biavèr”, ovvero il granaio, dove erano collocati vari prodotti, come uva, zucche, nespole, castagne, pesche selvatiche e prugne secche, fichi essicati e altri prodotti della terra, in grado di creare una mescolanza di sapori antichi.

Le testimonianze storiche e la poesia di Ernesto Morgan

A fare da sfondo a questo percorso storico, ci sono le foto delle famiglie di mugnai che lì abitavano, ma anche le istantanee tratte dal film “Mogliamante” del 1977, con Laura Antonelli e Marcello Mastroianni, quando il Molinetto vestì i panni di una locanda per viandanti.

Dall’ultima camera si esce su un percorso in pietra dove, scendendo, si accede a una sorta di piano aperto, dove sono conservati vecchi mastelli e strumenti per lavare i panni nel torrente.

Un percorso che suscita nello spettatore tanti ricordi riconducibili agli oggetti dei nostri nonni, ma anche molte suggestioni e un attaccamento automatico al luogo. Quello stesso attaccamento testimoniato da Ernesto Morgan, appartenente a una delle famiglie di mugnai, che nel Natale 1980 dedicò una poesia dialettale al Molinetto della Croda.

“Caro Molinet” (“Caro Molinetto”) è la lunga lirica scritta da Morgan, che testimonia il sentimento di attaccamento del territorio per il luogo, come si legge in alcuni versi: “Caro Molinet/ mi ò ancora feduccia della bona dent/ e spere sempre che un dì i te fae contenti/ mi intant continue a pensarte/ e ogni tant vegne a trovarte/ par dirte che ancora te voi ben” (“Caro Molinetto/ io ho ancora fiducia della buona gente/ e spero sempre che un giorno ti facciano contento/ io intanto continuo a pensarti/ e ogni tanto vengo a trovarti/ per dirti che ti voglio ancora bene”).

(Foto: Qdpnews.it © riproduzione riservata).
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