Cannibali, unicorni e spezie rare: lo straordinario viaggio di Marco Polo

La celebrazione dei 700 anni dalla morte di Marco Polo è l’occasione per ripercorre le tappe del suo incredibile viaggio attraverso il medio Oriente e le steppe mongoliche, durato ventiquattro anni (1271 – 1295) e culminato con l’incontro fra il veneziano e il leggendario Kublai Khan imperatore della Cina.

Marco intraprese questa avventura a soli diciassette anni, al seguito del padre Niccolò e dello zio Matteo; l’intento era quello di allargare e consolidare i traffici mercantili dei Polo, una famiglia di origine dalmata, da almeno tre secoli a Venezia, protagonista delle rotte commerciali fra l’Adriatico e l’Oriente.

Marco Polo affrontò la spedizione con l’astuzia e la spregiudicatezza tipiche del mercante veneziano, ma con la curiosità e la consapevolezza di vivere un’avventura irripetibile. La sensibilità e l’intelligenza del giovane non passarono inosservate e l’impresa assunse ben presto i contorni di una missione politica e diplomatica utile a favorire le relazioni fra il sovrano mongolo e il papa.

Il Milione, resoconto del grande viaggio, ha una genesi curiosa. Marco Polo lo dettò a un compagno di cella, Rustichello da Pisa, quando entrambi erano reclusi nelle carceri genovesi di San Giorgio all’indomani della sconfitta di Pisa alla Meloria e di Venezia a Curzola. Sull’attendibilità del Milione vi sono pareri discordanti e non è escluso che accanto a episodi realmente accaduti vi siano parti inventate di sana pianta per accrescere il prestigio di Marco Polo o esaltare le capacità letterarie di Rustichello. A prescindere dal labile confine fra realtà e fantasia il giovane Marco di qualità doveva averne non poche visto che non solo riuscì a far ingresso a corte, ma addirittura godette del rispetto e della fiducia dei discendenti del temibile Gengis Khan, padrone di terre sterminate e descritto come colui che provava la gioia più grande nello sconfiggere l’avversario, predare i suoi beni, assistere al suo dolore, montarne i cavalli e possederne mogli e figlie.

Il Milione, una delle sue tante versioni visto che l’originale è andato perduto, riserva ancora oggi innumerevoli sorprese. Tutto dipende dalla prospettiva con la quale si affronta la lettura di un diario che risale al Duecento, ma è intriso di una modernità e un’apertura di vedute davvero straordinarie. Marco propone infatti al lettore descrizioni di luoghi, di usi e costumi bizzarri con uno stile genuino e generalmente privo di pregiudizi.

Chi fosse interessato agli aspetti naturalistici può scovare fra i ricordi di Marco Polo delle minuziose descrizioni di animali esotici. Nell’isola di Giava ad esempio, il veneziano osserva “unicorni non meno grossi degli elefanti che nel pelame somigliano ai bufali e nelle zampe agli elefanti”. Il lettore non avrà difficoltà a capire che si tratta di rinoceronti.

Altrettanto numerosi sono i riferimenti alle usanze delle diverse popolazioni incontrate nel corso della spedizione. Nella provincia del Balascian, sulla via per Samarcanda, il mercante – ambasciatore si sofferma sulle “grandi e nobili dame” che indossano brache o mutande riempite di bambagia, uno stratagemma per simulare di possedere grosse natiche molto apprezzate dagli uomini del luogo.

Fra le attività che più delle altre incuriosiscono Marco Polo vi è senz’altro la caccia e frequenti sono le sue annotazioni circa l’abbondanza di selvaggina o la perizia degli arcieri orientali. Memorabili sono le pagini dedicate alle usanze venatorie del Gran Khan che, “molestato dalla gotta” dispone di una confortevole camera di legno trasportata sul dorso di quattro elefanti. Lì il sovrano, comodamente disteso su rare pellicce e stoffe preziose, attorniato da affascinanti odalische, attende l’annuncio “Sire, passano le gru”: solo allora il tetto viene scoperchiato e il Khan libera i suoi falchi godendosi le loro evoluzioni in tutta comodità.

Il cibo è un altro aspetto che coinvolge moltissimo Marco: il pepe indiano, le interiora del montone, il formaggio essiccato, il latte di cammello o di giumenta, i datteri, il vino di riso, la carne di serpente, il fegato crudo intinto nella salsa d’aglio, le giuggiole, la farina d’alberi sono soltanto alcuni degli alimenti che lo stupiscono e talora ne deliziano il palato. E non mancano, nel Milione, racconti raccapriccianti come quelli delle tribù di cannibali della regione del Fuciu che fanno scorpacciate di nemici uccisi, ma disdegnano le carni di chi è morto per malattia.

Meno cruenti e degni delle più ardite novelle boccaccesche sono infine due racconti ambientati in una imprecisata provincia russa. Le dame locali, riferisce Marco Polo, dopo sontuose bevute di cervogia (birra), per evitare di dover uscire dalla taverna in pieno inverno, si affidano alla discrezione e all’abilità di alcune donzelle che di tanto in tanto pongono sotto di loro delle grosse spugne per assorbire l’urina. Chi non osserva questa usanza, ed ecco la seconda narrazione, rischia quello che accadde a una coppia in preda ai fumi dell’alcol. Sulla via di casa la donna si chinò per fare pipì ma a causa del freddo restò appiccicata all’erba. Stessa cosa accadde al marito, che nel tentativo di liberare la moglie restò miseramente incollato al terreno con la barba congelata.

Anche attraverso la lettura di questi due apparentemente frivoli episodi, si può cogliere la modernità e la freschezza del Milione che, occorre ribadirlo, è stato concepito e trascritto da due uomini del Medio Evo.

Liberato dai genovesi nel 1299 Marco Polo tornò nella Serenissima Repubblica ove continuò a commerciare spezie, gioielli e a promuovere la propria opera letteraria. Sposato con Donata Badoer e padre di Fantina, Bellela e Moreta il grande viaggiatore rese l’anima a Dio nel 1324 all’età di settant’anni. Fra le ricchezze che lasciò in eredità figurano alcune tavole d’oro, probabilmente quelle ricevute in dono dal Kublai Khan e che egli usò come lasciapassare per attraversare indisturbato le contrade imperiali.

Le fonti indicano l’antico angiporto della chiesa di San Lorenzo o il basamento dell’altare della preesistente chiesetta di San Sebastiano quali luoghi più probabili della sepoltura, ma del corpo e della tomba di Marco Polo oggi non resta più nulla.

Una curiosità: San Lorenzo, sede monastica benedettina, balzerà all’attenzione delle cronache alla fine del Trecento e successivamente nel Seicento per la condotta immorale e l’abbigliamento inappropriato delle monache. Vicende che avrebbero sicuramente incuriosito e divertito Marco Polo, ma che difficilmente lo avrebbero stupito visto che … ogni mondo è paese!

(Foto: Qdpnews.it ©️ riproduzione riservata).
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